lunedì 2 aprile 2012

Penelope Cruz e l’intervista mai fatta Quando l’invenzione prevale sulla realtà

Lo scrittore Marìas riflette sul rapporto tra informazione e verità virtuale
Ho seguito la storia su «El País» e alla Tv spagnola. Sia il quotidiano che il canale televisivo hanno dedicato un bel po’ di spazio alla vicenda — un quarto di pagina nel giornale e diversi mi­nuti di telediffusione. L’articolo di «El País» — «Ossessiva, timida e insicura» — portava il sottotitolo «La rivista inglese 'Psycholo­gies' pubblica un’intervista con Penelope Cruz, ma l’attrice smen­tisce categoricamente». Non capisco: se non c’è stata nessuna intervista, perché riferirne il contenuto? (Almeno, così pensano le persone normali). Ma il problema sta indubbiamente nella smenti­ta dell’attrice e nella dichiarazione dei suoi avvocati, «stiamo valutando quali azioni legali in­traprendere ».
Se nessuno avesse fiatato, l’intervista fasulla sarebbe quasi certamente passata sotto silenzio. La strana cosa è che non appena il pezzo è stato denunciato come frutto di fantasia, ecco che i media non solo si sono precipitati a indagare, ma ne hanno pubblicato ampi stralci. Qualche settimana fa, ho avuto modo di osservare che una vasta percentuale della popolazione mondiale non si preoccupa più della verità. Temo però di aver peccato di eccessiva cautela, perché ciò che sta accadendo è di gran lunga più funesto: una vasta percentuale della popolazione oggi non è più in grado di distingue­re la verità dalla menzogna, oppure, per essere più precisi, la realtà dalla finzione. Per questo motivo, il vecchio adagio spagnolo «Calumnia, que algo queda» — «Calunniate, calunniate, qualcosa resterà» — ha perso ogni significato e difatti ai nostri giorni è raro sentirlo ripete re. Avrete notato che anche l’uso del verbo calunniare è in via di estinzione. Persino il suo senso è evaporato, come accade alle paro le che definiscono un’anomalia — la trasgressione alle regole — allorché l’anomalia si trasforma nella norma e nella consuetudine. (Se tutti mentissero senza sentirsi in colpa e senza temere le conseguenze, svanirebbe il concetto stesso di menzogna, per trasformarsi in «un modo come un altro per esercitare la propria libertà di parola». Credetemi, non manca molto al traguardo).
Il proverbio spagnolo dovrebbe essere modificato in «Calunniate, calunniate, nessuno se ne accorgerà». La facilità e la rapidità con le quali una qualsiasi voce o fandonia si diffonde su Internet e in tutti i siti del social net working rende pressoché impossibile il compito di bloccare le notizie false e di metter fine alla disinformazione. Per esempio, quando qualcuno si è affrettato a smentire che Harrison Ford avesse perso la vita in un bizzarro incidente stradale in Europa — sbugiardando così le dicerie che ultimamente si rincorrevano su Internet — moltissimi utenti avranno già archiviato mentalmente la falsa notizia ma saranno incapaci di cancellarla, anche se pochi giorni dopo vedono Ford a una prima cinematografica. Si diranno, «Toh, allora non è morto», e quando lo avvisteranno da qualche altra parte, ecco che si affaccerà la riflessione, «E pensare che lo davano per morto ». Il dato inventato — più sorprendente è, meglio è — continuerà a riemergere a più riprese, benché sia stato accantonato come una sciocchezza. Nel mio romanzo, Il tuo volto domani (Einaudi), ripercorro gli eventi che portarono alla morte di Jayne Mansfield. Nel 1967, l’attrice viaggiava da Biloxi, nel Mississippi, verso New Orleans, quando fu vittima di un incidente stradale. La sua parrucca bionda venne scagliata sul paraurti, e questo particolare fece nascere la voce che fosse stata scotennata, o addirittura decapitata, e che la sua splendida testa fosse rotolata via lungo quella strada buia della Louisiana. Per i suoi ammiratori inconsolabili, ancora oggi numerosissimi, il ricordo della sua morte gronda di particolari raccapriccianti che non ci furono mai.
Se la leggenda era già talmente radicata nel 1967, vi lascio immaginare come sia 42 anni dopo, quando abbondano dicerie e fandonie e non si può far nulla per metterle a tacere; quando qualsiasi tentativo in tal senso non fa che aggravare la situazione; quando persino gli scrittori (beh, i demagoghi tra le nostre file) «invitano » i lettori a «partecipare» alla trama del libro e a «scegliere» il finale, contravvenendo così all’essenza stessa della finzione letteraria, che esclude ogni emendamento o intervento dall’esterno; e quando tantissime persone resta no attaccate a una storia macabra o a una teoria della congiura anche quando la sua infondatezza è stata ampiamente dimostrata. In un’era in cui i media sono talmente diversificati e pertanto capacissimi di controllare e stabilire la verità, la distinzione tra vero e falso appare ogni giorno più offuscata, quasi smarrita in una specie di magma. Conoscere o dire la verità diventa sempre più irrilevante. Dopo tutto, se la verità e la menzogna vengono poste sul lo stesso piano e la verità non conta più niente, che differenza fa?
Javier Marìas
© The New York Times Syndicate (Traduzione di Rita Baldassarre)
 


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